en-La montagna al costo della vita
Qualche giorno fa è giunta la notizia di due alpinisti morti sul Gran Sasso. Erano, per quanto si legge, alpinisti esperti e preparati. Avevano deciso di partire anche con condizione proibitive ed il rischio di maltempo era in realtà una certezza. Ho letto stamattina che il fratello di una delle vittime, vuole presentare un esposto in procura di Teramo in quanto, a suo parere, doveva essere loro impedito di partire. Ma mi chiedo se l'inibizione delle escursioni in montagna sia possibile ? Trattasi, come tutte le questioni etiche, di un argomento complesso e sfaccettato.
Non ci sono ancora dati ufficiali riguardo i morti in montagna nel 2024 ma sono disponibili quelli del 2023. L' anno scorso secondo il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico, sono state eseguite 12.349 missioni di soccorso per complessive 12.365 persone soccorse, di cui 7.622 feriti e 491 persone decedute. Negli ultimi 70 anni inoltre le vittime sono state oltre 18.000 e 141.000 le persone ferite recuperate dal CNSAS. Numeri impressionanti se confrontati ad esempio con i morti per aggressione di animali selvatici (orsi e lupi), un altro rischio della montagna.
Viene da chiederci quindi, perché, pur consapevoli del pericolo, alcuni continuano a mettere a rischio la propria vita per scalare una montagna o per percorrere un sentiero impervio.
Le motivazioni in realtà sono molteplici. Alcune delle ragioni principali sono la sfida personale, il desiderio di superare i propri limiti, il desiderio di provare sensazioni forti. La ricerca dell' adrenalina è una sensazione comune anche agli amanti della velocità, ai piloti di rally e di formula 1 o ai discesisti di sci alpino.
Anche il desiderio di esplorare territori sconosciuti è una delle ragioni che spinge l' uomo in montagna. Reinhold Messner, oltre ad essere stato il primo alpinista ad aver scalato tutti i quattordici 8000, si è cimentato infatti anche nelle traversate dell'Antartide, della Groenlandia e del Deserto del Gobi.
A seguito dell' educazione e dell' insegnamento ricevuti dai miei genitori, sono convinto che ci siano altre spinte interiori. Credo, essendo uno spirito romantico, che per la maggior parte degli alpinisti ricerchi un legame profondo con la natura o con Dio. Le montagne offrono paesaggi mozzafiato che non possono essere emulate dall' opera dell' uomo.
Ho sempre provato, entrando in un bosco o percorrendo un sentiero, non solo un momento di solitudine ma anche una connessione diretta con l' ambiente incontaminato e selvaggio.
Chi raggiunge la cima di una montagna avverte il silenzio assoluto che si accompagna al piacere della meditazione e permette di sentirsi parte del mondo naturale.
Nessun altro ambiente, a mio avviso, offre un'esperienza simile.
Il senso di realizzazione che deriva dal raggiungere una vetta, la bellezza del panorama o la soddisfazione di affrontare l'incertezza del terreno montano, sono motivazioni così potenti che anche la consapevolezza del pericolo , purtroppo a volte, passa in secondo piano.
I due alpinisti penso siano stati vittime di questa affezione. Un disturbo dell' animo, per me assolutamente ineludibile. Un uomo può avere ciò che vuole ma non può volere ciò che vuole (A. Schopenhauer).
Siamo convinti però che una norma possa inibire questo male?
È possibile trovare soluzioni che possano garantire la sicurezza senza compromettere le libertà personali ?